Con la sentenza n. 7615 del 3 marzo 2022 la terza sezione penale della Corte di Cassazione, pronunciandosi in tema di reato di indebita compensazione di cui all’art. 10-quater del d.l. 74/2000, ha confermato che, sotto il profilo oggettivo, nel nostro ordinamento sussiste la dicotomia tra credito non spettante e credito inesistente e che, tale diversità, incide anche sul piano dell’elemento soggettivo delle due diverse fattispecie di reato contemplate dal primo e dal secondo comma dell’art. 10-quater cit.
In particolare, la pronuncia della Suprema Corte ha avuto ad oggetto una complessa situazione giudiziaria nell’ambito di cui a carico del medesimo indagato, benché per una medesima condotta di indebita compensazione di un credito di imposta, erano stati intrapresi due diversi procedimenti, l’uno, per indebita compensazione di un credito non spettante (art. 10-quater, comma 1, del d.l. 74/2000) e, l’altro, per indebita compensazione di un credito inesistente (art. 10-quater, comma 2, del d.l. 74/2000).
In tale contesto, sotto il profilo oggettivo, gli ermellini hanno quindi chiaramente affermato che “un credito non può essere al contempo non spettante ed inesistente, in quanto o esso è inesistente oppure è non spettante”. A sostegno di tale affermazione, la Suprema Corte ha correttamente richiamato le importanti sentenze n. 34444 e 34445, rese dalla sezione tributaria il 16 novembre 2021, che, risolvendo un annoso contrasto giurisprudenziale sorto in seno alla Corte, hanno chiarito che “nel nostro ordinamento sussiste una dicotomia tra credito non spettante e credito inesistente” e che “per poter qualificare un credito come inesistente è necessario che lo stesso sia ancorato ad una situazione non reale o non vera, “ossia priva di elementi giustificativi fenomenicamente apprezzabili, se non anche con connotazioni di fraudolenza”.
Sotto il profilo dell’elemento soggettivo del reato, i giudici della Suprema Corte hanno poi affermato, prendendo le mosse dalla detta dicotomia tra credito non spettante e inesistente, che “l’inesistenza del credito costituisce di per sé, salvo prova contraria, un indice rivelatore della coscienza e volontà del contribuente di bilanciare i propri debiti verso l’Erario con una posta creditoria artificiosamente creata, mentre nel caso in cui vengano dedotto dei crediti “non spettanti” occorre provare la consapevolezza da parte del contribuente che tali crediti non siano utilizzabili in sede compensativa”.
La sentenza in commento non può che accogliersi con favore, anzitutto, in quanto, accogliendo il principio espresso dalla sezione tributaria in ordine alla corretta distinzione tra crediti non spettanti e inesistenti, lo rende applicabile anche in materia di reati penal-tributari di indebita compensazione di crediti di cui all’art. 10-quater cit. Ma, anche, perché individua, per ciò che riguarda l’elemento soggettivo, il diverso onere probatorio a carico delle parti a secondo della fattispecie di reato contestata.
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