Con l’ordinanza n. 6082 del 28 febbraio 2023, la Corte di Cassazione ha affermato che l’esenzione dall’imposta di successione e donazione prevista dall’art. 3, comma 4-ter del d.lgs. n. 346/1990 si applica a condizione che il trasferimento abbia ad oggetto partecipazioni in una società che svolge un’effettiva attività d’impresa.
In particolare, nel caso sottoposto al vaglio della Suprema Corte, l’Agenzia delle Entrate aveva disconosciuto l’applicazione dell’esenzione in quanto la società risultava di mero godimento immobiliare, economicamente non operativa, caratterizzata da una gestione statica, il cui patrimonio immobiliare era stato conferito in nuda proprietà dagli originari soci, dianzi indicati, contestando dunque che “il presupposto applicativo principale dell’agevolazione in questione è che ... oggetto della donazione ... sia un’azienda ovvero una partecipazione in una società avente ad oggetto un’effettiva ed operativa attività economico-aziendale”.
La Suprema Corte, confermando la validità dell’operato dell’Amministrazione finanziaria, ha confermato che “ricostruendo, tuttavia, la ratio legis, nei termini di cui si è detto, nonostante l’improprietà lessicale nella stesura della disposizione normativa, si perviene alla conclusione che, ai fini dell’esenzione di imposta nel caso di trasmissione di quote di società di capitali, siano necessari non solo l'acquisizione del controllo e la sua detenzione per almeno un quinquennio, ma anche l'ulteriore requisito dell'«esercizio dell'impresa» da parte della società trasferita; l’agevolazione va di conseguenza applicata a tutti i trasferimenti di partecipazioni in società di capitali che consentono all'avente causa di acquisire o integrare il controllo di una società che svolge effettivamente un'attività d'impresa, poiché solo a questa condizione il trasferimento del controllo di una società può ritenersi equivalente al trasferimento di un'azienda, e l'agevolazione apprezzabile in una prospettiva di salvaguardia dei livelli occupazionali”. Adottando la soluzione contraria, infatti, secondo i giudici di legittimità “verrebbero agevolate le partecipazioni in «società senza impresa», ovvero dove siano state veicolati beni non costituenti azienda (denaro, fabbricati, terreni, valori mobiliari) con il rischio di uno svuotamento del tributo successorio, rivolto a far sopravvivere l’impresa, esercitata anche tramite una società di cui si detenga il controllo”.
L’ordinanza in commento affronta una tematica che nel corso degli anni ha dato vita ad un ampio dibattito dottrinale. Difatti, mentre alcuni autori ritenevano che la ratio della norma sia solamente quella di agevolare i trasferimenti di partecipazioni in società che svolgono effettivamente attività d'impresa, altri rifiutavano tale interpretazione restrittiva poiché non troverebbe fondamento nel dato testuale della norma. Tuttavia, già l’Agenzia delle Entrate, con la Risposta ad Interpello n. 552/2021 si era espressa nel senso che “in assenza di una “azienda”, l’applicazione dell’agevolazione de qua violerebbe la ratio della disposizione medesima”. Tale interpretazione restrittiva, dunque, ad oggi sembra prevalere sia nella prassi dell’Amministrazione finanziaria, sia in giurisprudenza.
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